La mastectomia preventiva

L'intervento di asportazione del seno nelle donne portatrici di specifiche mutazioni genetiche è un’opzione dalla dimostrata efficacia, che va tuttavia discussa attentamente con ciascuna paziente. Vediamo quali sono le indicazioni e le possibili alternative.

Per mastectomia profilattica (o preventiva) si intende l'asportazione delle due ghiandole mammarie in una donna ancora sana ma portatrice di specifiche mutazioni genetiche che comportano un aumentato rischio di sviluppare un cancro al seno. Si tratta di un’opzione da discutere attentamente con ogni paziente, tenendo conto dell’età, del rischio individuale di ammalarsi, dei benefici attesi, dei potenziali effetti collaterali e dell’impatto psicologico. Viene presa in considerazione in tutte le principali linee guida per la prevenzione del cancro.

Le mutazioni per cui può essere proposta la mastectomia preventiva coinvolgono principalmente i geni BRCA1, BRCA2, TP53 e PTEN. Se presenti, queste mutazioni accrescono in particolare il rischio di sviluppare tumori a carico del seno, delle tube e delle ovaie. Inoltre, le mutazioni dei geni BRCA1 e 2 possono aumentare il rischio di ammalarsi anche di altri tipi di tumore, come per esempio quello al pancreas, alla prostata nei maschi, e il melanoma.

Fin dalla iniziale identificazione di queste mutazioni, negli anni Novanta, AIRC ha contribuito alla ricerca su queste forme ereditarie di tumore. Tra i primi progetti sostenuti ve ne fu uno diretto da Marco Pierotti presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano. Obiettivo del progetto era mettere a punto un programma di screening per la familiarità a questi tipi di cancro. Con un approccio multidisciplinare, nel progetto si proponeva, tra le altre cose, un test genetico per identificare le forme mutate dei due geni BRCA.

Una scelta personale

Ridurre il proprio rischio di sviluppare la malattia tramite un’operazione chirurgica è una scelta individuale che deve essere presa in considerazione dalla paziente dopo un’attenta valutazione e un’approfondita discussione con un gruppo multidisciplinare di professionisti, che deve comprendere:

  • Un medico genetista, che studia l'albero genealogico della paziente e le eventuali altre caratteristiche individuali e alla paziente stessa deve illustrare l’incertezza intrinseca, associata al rischio costituito dalla presenza delle mutazioni genetiche;
  • il senologo e il chirurgo plastico che spiegano alla paziente il tipo di intervento chirurgico a cui eventualmente sottoporsi e chiariscono le possibilità ricostruttive;
  • lo psiconcologo che illustra l’impatto che questa scelta può avere dal punto di vista psicologico.

Oltre all’asportazione delle mammelle, in alcuni casi accuratamente selezionati è necessario asportare anche ovaie e tube (annessiectomia), in particolare quando la mutazione aumenta il rischio specifico di carcinoma in questi organi.

Benché solo le donne portatrici di alcune forme mutate dei geni BRCA1 e BRCA2 siano potenzialmente candidate all'intervento preventivo, tale indicazione può essere rafforzata o ridotta dalla compresenza o dall'assenza di altre mutazioni genetiche, anche di tipo non ereditario.

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Questione di numeri

Le forme mutate di BRCA1 e BRCA2 sono rare: si stima che siano presenti nella popolazione in circa una persona su 400-500. Il rischio relativo delle donne portatrici di mutazione BRCA di ammalarsi di cancro mammario nel corso della vita è di circa il 60-80% superiore rispetto a chi non è portatrice di tali mutazioni. Per le donne della popolazione generale, prive di mutazioni di questo tipo, il rischio di avere un tumore alla mammella nel corso della propria esistenza è di circa il 12-13%. Sappiamo inoltre che altri fattori genetici e ambientali sono in grado di influire sul rischio che una donna portatrice di mutazioni BRCA si ammali di tumore al seno. Tuttavia, a oggi non è possibile quantificarne l’impatto e pertanto conoscere il rischio relativo per la singola paziente.

L’asportazione delle mammelle nelle donne portatrici di una mutazione genetica ereditaria riduce il rischio di ammalarsi di tumore al seno di almeno il 90%, ma non lo azzera completamente.

La parola all'esperto

L’oncologo medico Lucia Del Mastro parla degli esami di screening rivolti principalmente alle donne con mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 e del test genetico rivolto alle donne con sospetta familiarità per i tumori del seno.

Le alternative

Per una donna che presenti mutazioni a carico dei geni BRCA1 o 2 esistono alternative alla mastectomia preventiva, nessuna delle quali però riduce le percentuali di rischio al pari di questo intervento.

Queste sono le alternative attualmente possibili:

  • Lo screening ravvicinato. Obiettivo di questa opzione è individuare il cancro al seno in fase talmente precoce da massimizzare le possibilità di guarigione. Secondo le linee guida, nelle donne con BRCA1 e/o 2 positivi è indicato iniziare a sottoporsi alla risonanza magnetica della mammella ogni anno a partire dai 25-30 anni. Dopo i 40 anni, oltre alla risonanza magnetica con cadenza annuale, è raccomandata anche la mammografia. Tuttavia, è importante tenere conto del fatto che, nonostante i controlli ravvicinati, i tumori della mammella si possono sviluppare nel periodo tra un controllo e l’altro. La malattia verrebbe così individuata in fase sì precoce, ma non a sufficienza da evitare la mastectomia e la chemioterapia, data l’aggressività dei tumori legati a determinate mutazioni. Inoltre, è possibile che donne ad alto rischio sviluppino un cancro al seno in entrambe le mammelle, in momenti diversi.

Nel caso in cui la paziente non fosse stata sottoposta ad annessiectomia bilaterale (asportazione di tube e ovaie), lo screening deve comprendere anche valutazioni ginecologiche semestrali con ecografia transvaginale e ricerca del CA125 nel sangue. I controlli possono avere cadenza annuale se ci si sottopone all’annessiectomia bilaterale.

  • L'uso di farmaci. La strategia di chemoprevenzione prevede l’utilizzo di farmaci anti-ormonali (come il tamoxifene) ed è stata studiata anche in Italia presso l’Istituto europeo di oncologia e l’ospedale Galliera di Genova, anche grazie al contributo di AIRC. Si tratta di un’opzione che può essere di interesse solo per alcune donne e va discussa caso per caso con l’oncologo, in quanto comporta degli effetti collaterali. A tal proposito, i ricercatori stanno indagando sulla possibilità di ridurre le dosi per provare a rendere questa strategia accessibile a un pubblico maggiore di candidate.
  • Cambiamenti negli stili di vita. È noto che alcuni fattori, come un’alimentazione non equilibrata e la sedentarietà, favoriscono lo sviluppo dei tumori e che è possibile ridurre il rischio individuale agendo su di essi. Il suggerimento vale naturalmente per tutti e non solo per le donne portatrici di mutazioni ereditarie. Sono stati studiati anche regimi alimentari particolari che, influendo sul rilascio di insulina e quindi anche sugli equilibri ormonali, sembrano utili a ridurre il rischio di ammalarsi nelle donne geneticamente predisposte. Si tratta però di strategie ancora sperimentali, i cui dati di efficacia saranno disponibili tra qualche anno. Non è quindi possibile dire in che modo riducano la percentuale di rischio. È tuttavia consigliabile per una donna ad alto rischio adeguare il proprio stile di vita alle raccomandazioni generali sulle abitudini più salutari: evitare l'alcol, mangiare in modo vario ed equilibrato, ridurre il peso corporeo se in sovrappeso e fare attività fisica tutti i giorni.

Autore originale: Agenzia Zoe

Revisione di Sofia Corradin in data 30/04/2025

  • Agenzia Zoe

    Agenzia di informazione medica e scientifica
  • Articolo pubblicato il:

    30 aprile 2025